Quando si parla dell’Italia e la si confronta con gli altri Paesi del mondo emerge sempre in qualche modo l’inadeguatezza del nostro Paese dal punto di vista economico, politico e legislativo.
Alzi la mano chi non ha mai confrontato i fatti italiani con quelli di altri Paesi (vedi Germania o Inghilterra), descrivendo questi ultimi come virtuosi e capaci e gettando di fatto fango sullo specchio di fronte.Il settore a cui facciamo riferimento non fa eccezione. Tutte le banche d’Europa e del mondo Occidentale fanno i conti con le sofferenze già arrivate e in arrivo, con i margini di intermediazione che crollano e i tassi a zero, eppure sono sempre gli italiani che ne escono peggio, come immagine intendo. Ecco uno dei tanti esempi di percezione mediatica negativa.
Il punto è che spesso, dati alla mano, ci si azzecca. L’Italia è veramente il fanalino di coda. Non si capisce se l’autolesionismo degli italiani sia la causa o l’effetto di tutto questo, l’uovo e la gallina che si perpetuano.
A questo punto nasce spontanea una domanda:
Perché?
Dall’Italia vengono le migliori opere d’arte, invenzioni, imprese da sempre. Tutto il mondo ce lo riconosce. Com’è possibile che il Paese con il più alto tasso al mondo di iniziativa imprenditoriale abbia un problema di inerzia? Com’è possibile che il Paese con la maggior quota di risparmio pro capite oggi abbia problemi di liquidità?
La risposta forse è scritta nel passato, nelle radici e nella storia della nostra Italia.
La scorsa settimana ho avuto il piacere di assistere a una conferenza davvero interessante, nella quale uno stimato professore universitario ricordava citando fatti storici l’importanza della criminalità organizzata, della Chiesa e degli Stati Uniti nella creazione dell’Italia così come oggi la conosciamo. È evidente che nel bene e nel male questi tre “fattori” sono tuttora estremamente rilevanti nella vita politica del paese: la criminalità a livello sociale, la Chiesa per la morale e gli Stati Uniti (e le multinazionali) nell’economia, con vari intrecci e con il fattore comune della politica.
Non è mia intenzione fare un trattato storico, menchemeno politico. L’obiettivo è quello di notare come in Italia abbiano convissuto da sempre forze molto importanti in (quasi) perfetto equilibrio. Ciò ha generato una condizione di staticità ben radicata che ci portiamo dentro come endemica, a prescindere dal coinvolgimento dei fattori citati in precedenza. Da qui nascono omertà, invettive sterili, ricerca del sotterfugio.
Le decisioni importanti in Italia sono sempre state prese per compromessi. È la storia che ce lo dice. La riunificazione stessa dell’Italia è figlia di compromessi. Non è nel nostro patrimonio genetico il cambiamento radicale, la decisione tranchant, il ribaltone. La difesa dello status quo è nell’essenza stessa dell’Italia.
Tucidide diceva che bisogna studiare il passato per capire il presente e orientare il futuro. Qui viene il bello. Se questo è il passato, se queste sono le nostre radici, se siamo geneticamente contrari ai ribaltoni e abbiamo la necessità di un ribaltone, abbiamo un problema. Ecco perché molti paesi sono già passati attraverso il tunnel e ora guardano oltre. È una questione di prospettiva: la posizione è la stessa, l’attitudine è diversa.
È questa la grande sfida che aspetta l’Italia, pena la soccombenza. Riscoprirsi, prendere atto dei propri difetti, e portarli alla luce. Gli NPL sono gli effetti visibili e tangibili degli errori del passato; per andare oltre servirà fare un passo indietro, trovare le cause nascoste e sradicarle, in nome del cambiamento.
Forse dar fondo alle nostre risorse per salvare le banche non va in questa direzione.
Emanuele Grassi