Da diverse settimane tiene banco tra gli addetti ai lavori del mondo NPE lo spauracchio di un DL orientato all’aiuto di famiglie e imprese in difficoltà. Molti colleghi e i principali player/istituzioni hanno già espresso il loro pensiero, al quale non possiamo che allinearci: così come pensato non è certamente attuabile e gli effetti negativi sull’economia in generale sarebbero molti di più di quelli positivi.
Ciò doverosamente chiarito, è nostra intenzione con questo articolo sollevare l’attenzione su altre tematiche sempre afferenti parte debitrice, figlie dello sviluppo di questa nuova industria. Non teoriche, ma pratiche e già presenti nella quotidianità del nostro lavoro.
Si fa un gran parlare (giustamente, aggiungerei) di sostenibilità e di criteri ESG applicati a tutti gli ambiti dell’impresa e della produzione. Sta dunque maturando nel lavoratore e nel consumatore la consapevolezza e la necessità di capire qual è l’impatto delle proprie scelte sull’ambiente, inteso non solo con accezione “green“.
La nostra giovane industria del recupero crediti si trova da qualche mese a questa parte a fronteggiare una situazione totalmente inedita. Con ogni probabilità il lettore è un addetto ai lavori, eviterò pertanto di approfondire le dinamiche congiunturali del periodo (materie prime, inflazione, tassi in rialzo etc.); vorrei invece porre l’attenzione su una dinamica in crescendo che sta avendo un forte impatto, sociale e disallineato, sull’economia reale.
In maniera forzatamente semplificata ecco in sintesi cosa sta accadendo: per via dell’aumento dei tassi di riferimento e per via della necessità di sostenere BP audaci, le condizioni di rientro per un debitore stanno diventando insostenibili.
L’aggettivo non è usato casualmente: ciò che tipicamente accade è che una rateizzazione che tenga conto delle prospettive di realizzo dei servicer/noteholders raramente è compatibile con le capacità di rientro del debitore. In questi casi il servicer per sostenere i numeri propone un significativo versamento upfront, nonostante sia lapalissiano che in una situazione di tensione finanziaria è improbabile che il debitore abbia accumulato risparmi significativi.
Ma questa è solo una faccia della medaglia. Il tema vero non è rappresentato dal peggioramento delle condizioni di rientro, ma dalla disparità/disomogeneità netta ed evidente tra diversi debitori nella medesima situazione. In buona sostanza, le speranze di un debitore di redimere la propria posizione dipendono in egual misura dalla propria capacità di ricominciare a produrre reddito e dalla fortuna di aver trovato il creditore giusto.
Il rialzo dei tassi e dunque dei rendimenti attesi per gli investitori di questa asset class ha solo evidenziato e reso estremo un fenomeno già iniziato con le prime cessioni massive dei crediti in sofferenza. Le conseguenze di questa tendenza sono diverse, tutte con impatto sociale evidente e trasversale:
• differenze di condizioni tra debitori dello stesso Istituto/originator secondo il timing e le condizioni della cessione dei crediti
• differenze di condizioni tra debitori di istituti diversi che hanno contratto la medesima tipologia di finanziamento
• disallineamento di interessi e diversità di approccio tra i diversi creditori: quelli che possono permettersi di “coltivare” il cliente e sostenere un piano di rientro, e quelli che non hanno interesse a coltivare il cliente perché non fanno banca e non possono fare altro che agire giudizialmente.
Sono certo che chi ci legge ha perfettamente compreso che l’articolo non ha contenuti moralisti, o buonisti. Noi e tutti i colleghi continuiamo e continueremo a svolgere il nostro compito con professionalità, a perseguire gli obiettivi dei BP nel rispetto dei codici deontologici né più né meno come prima. Siamo altresì certi che il lettore ha ben chiaro che le dinamiche qui descritte sono nettamente scollegate dal tema “proposta legge Congedo”, che non è certamente la soluzione.
Ciò non toglie che non si possa evidenziare una tendenza significativa, pregnante per il nostro tessuto sociale, che va a minare alcuni tratti caratteristici della nostra cultura quali ad esempio la proprietà della prima casa.
Altrettanto evidente è che, se esiste una soluzione questa si trova al di fuori dalla nostra industria e non può essere lasciata nell’autonomia dei player operanti all’interno del libero mercato. A nostro modo di vedere ciò che va inizialmente fatto, come minimo e rapidamente, è diffondere cultura in questo senso. Occorre maggiore consapevolezza per il consumatore e per le aziende di quanto sia mutata la filiera del credito, di quali siano le esigenze dei nuovi attori e le conseguenze delle stesse, già a partire dal contratto di erogazione del credito.
Citando un caro amico, siamo il paese in cui per fare un PAC da 100 eur/mese serve una profilazione dell’attitudine al rischio e famiglie senza alcuna educazione finanziaria contraggono liberamente mutui a cinque zeri. Tutto ciò è esemplificativo della situazione attuale, per un cambio di rotta servirà remare forte e controcorrente.
Emanuele Grassi